Manfred de la Motte
Friederich Werthmann‘s „Blattwerk“
*


Es ist geschrieben worden. Offensichtlich, klar und fest, aber auch flüchtig und zart, vor allem: offen. Schrift und Zeichen. Schriftnetzwerke und Zeichensymbolik. Ist aber auch gezeichnet worden? Macht das wer? Ein botschafts-süchtiger Stadtschreiber? Ist Bezeichnendes bezeichnet worden? Wer schreibt – und wem sich zu? Was wäre Spur und „Graphik“ ohne Zuwendung – und wem gälte sie? Autor versus Leser ... Da es – nach Franz Mon – nichts Wahrnehmbares gibt, das nicht auch lesbar wäre, da geht es ans Entschlüsseln, aber auch ans Verrätseln.
Da ist lautstarkes Durcheinander, auch kultisches Gegeneinander: „wer bist denn Du?“ sagt das Eine; „und woher kommst denn Du?“ – sagt das Andere; „Du bist mein Spiegel“ – „ich Deine Herkunft und Deine Zukunft“. „Sind wir also ein Stück Kunst?“ „Nein, 2 Stück Äußerung, frei und nicht belehren-wollend, vielleicht zum Zwecke der Zusammenreimung im wachen Kopf dessen, der uns sieht und erkennt“. Dialoge, (Unterhaltung?), Sprache, Sprache; für Paul Celan: Mit-Stern, Nebenerde ...
Ich sehe Werthmännische und wertvolle Blattwerke, ins Werk gesetzte Tusche-Initiativen – aber ich sehe nicht: bildhauerische Skizzen, keine verzweifelten Versuche, dreidimensionale Probleme platt zu zweidimensionalen Lösungen zu zerquetschen.
Da ist ein wundervolles Utopia im Begriff, sich zu realisieren (wie bei allen guten Skulptoren und Drei-Dimensional-Denkern): die „heilige“ Fläche zu artikulieren, ohne Verleumdung und ohne Verrat am sonstwie plastisch Gemeinten. Eben ein anderes Medium.
Gemeinsamkeit des Tusche-Künstlers mit dem Bildhauer: Achtung vor Vorlauf, Entwicklung und also Zeit. Zeit. Ist das Jetzt ein Produkt von Geschichte mal Zukunft? Scheint nicht auch Zukunft auf und definiert mit dem Haltepunkt „Gegenwart“ dann auch die Vergangenheit?
Das Dynamit der Tusche ist die botschaftslose Hand, die das Alphabet von Formulierbarkeit in Freiheit entläßt. Spannend, neu, ungewöhnlich und ungeläufig, ohne kunstwissenschaftliche Botschaft (etwa „Stil!“) – aber allemal durchaus gemeint.
Und maltechnische Ergründbarkeit, (klassische Absprengtechnik: Wasser versus Öl), die ergibt eben nur Maltechnik und nicht die mindeste Bedeutungsebene.
Ich warne vor dem Überinterpretations-Versuch, der scheinbaren Gelenkigkeit mit choreographischen Begriffen beizukommen: da tänzelt nichts, und Kreis- und Dreh-Momente sind keine dekorativen Pirouetten – es sind die schwarzen Löcher, die Kosmen verschlingenden, hier sich unschuldsvoll Weiß (Negativ?) und nicht Schwarz (Positiv?) präsentierend. Kraft also, ohne Frage.
Gemeintes, Gemachtes, Intendiertes, immer im Begriff, sich zu vertilgen, zu verzehren, sich neu zu konfigurieren, damit ein köstliches unstabiles Gleichgewicht erreicht werden kann: Anwesenheit definiert durch auslöschende Abwesenheit – und die Dinge, die nicht sind – die haben Gewicht.

* „Blattwerk" ist der Titel einer Literaturzeitschrift die Lars Bornschen in Bamberg herausgibt.
Aus: Friederich Werthmann, Skulpturen und Tuschen, Katalog der Ausstellung im Kunstverein Schwelm, Haus Martfeld, 24. Juni - 22. Juli 1990


Opere di „foglia – foglio“

E'stato scritto. Evidente, chiaro e inamovibile, ma anche fugace e delicato, soprattutto: aperto. Scrittura e segni. Opere di scrittura e segni simbolici. E‘ stato anche disegnato. E da chi? Forse da un cronista-artista (*) maniaco di messagi? E‘ stato il denominante denominato? Chi scrive, ed a chi?...
Cosa sarebbero le arti grafiche e i solchi senza assegnazione, e per chi avrebbero valore? Autore versus lettore... Così e secondo Franz Mon: non esiste nulla di percepibile che non sia anche leggibile, da questo momento in poi si deve non solo decifrare ma anche risolvere l‘arcano.
Qui e un disordine che stordisce ed anche uno scambievole rituale.
„Chi sei tu?“ dice l‘uno „E da dove vieni?“ dice l‘altro „Tu sei il mio specchio“ „lo la tua origine e il tuo futuro“ „Siamo noi anche un pezzo d‘arte?“ „No, siamo due pezzi d‘espressione, liberi e non volenti istruire, forse solo con l‘intento di rimanere insieme nella lucida testa di colui che ci vede e riconosce“. Dialogo (Divertimento?) Idioma, idioma, per Paul Celan: Mit-Stern, Nebenerde...
Io vedo Werthmanniane e preziose opere di foglia-foglio, iniziative in china inserite nell‘opera, ma non vedo: schizzi scultorei, esperimenti disperati, problemi tridimensionali appiattiti in soluzioni bidimensionali.
Qui inizia il concetto di un'utopia meravigliosa realizzata (come in tutti i bravi scultori e pensatori tridimensionali): la „santa“ superficie articolata senza inganno e senza calunnia, come un credo plastico. Proprio un altro mezzo. il punto in comune tra l‘artista della china e lo scultore: il rispetto verso ciò che precede la corsa eliminatoria, lo svolgimento e il tempo. Tempo.
È‘ I‘attimo un prodotto di storia, moltiplica per futuro? Non sembra che il sorgere del futuro definito con il punto d‘appoggio del „presente“ sia anche il passato?
La dinamite della china e la mano senza messaggio che lascia libero l‘alfabeto della formulazione. Eccitante, nuovo, inusuale e disuguale, senza missiva di sapienza artistica (quasi „Stile“?), ma ogni volta completamente intenzionale.
L‘investigazione della tecnica pittorica (classica tecnica esplosiva: acqua versus olio) da solo una tecnica pittorica senza il minimo livello di significato.
Io vi ammonisco verso la tentazione di soprainterpretare l‘apparente mobilità con un concetto coreografico: qui nulla danza, e il cerchio e i momenti torniti non sono piroette decorative, sono buchi neri che risucchiano cosmi, e qui si presentano innocentemente bianchi (negativo?) e non neri (positivo?). Allora forza, senza domanda.
Opinioni, fatti, intenzioni sempre con il principio di sbranare se stessi, dilaniare e di nuovo configurarsi, raggiungendo un equilibrio instabile e delizioso: la presenza definita attraverso una spenta assenza – e le cose che non sono –, questo ha valore.

* il termine tedesco Stadtschreiber, si riferisce ad un poeta invitato da una citta per un periodo di tempo limitato.
Traduzione: Sabrina Rovati