Christiane Lange
Parallelogramme Filigrane Stahlstangen mit knotenartigen Verdickungen beschreiben eine offene geometrische Form. Aus dem endlosen Raum kommend, materialisiert sich eine Bewegungslinie, ändert mehrmals nach einem Moment der Richtungslosigkeit scheinbar willkürlich ihr Ziel, bis sie schließlich ihre Ausgangsrichtung wiedergefunden hat. Analog zu den einzelnen Punkten des Richtungswechsels durchläuft auch die Gesamtstruktur den Prozeß der Des- und Neuorientierung. Diese Lesart der Parallelogramme betont den Segmentcharakter der Skulpturen. Sie stellen einen markanten, aber kurzlebigen Ausschnitt der Bewegungslinie dar, dem eine unendliche und unbekannte Entwicklung vorausgegangen ist und folgen wird. Es handelt sich um die Materialisierung eines ephemeren Momentes. Sie findet ihre Entsprechung in der Labilität der Konstruktion: Sie ist nicht statisch. Bei der kleinsten Bewegung beginnt sie zu beben. Die Reduziertheit der Gebilde, ihre fast aufgelöste Materialität stehen in scheinbarem Widerspruch zu den bisherigen Arbeiten Werthmanns, den schwirrend dynamischen Bewegungsskulpturen der 60er Jahre, den kraftvollen, zum Teil massigen Dynamitarbeiten seit 1975 und auch den Tuschezeichnungen. Tatsächlich stellen die Parallelogramme eine bewußte Neuorientierung nach der langjährigen Auseinandersetzung mit Dynamit als Gestaltungsmittel dar. Gleichzeitig aber sind die in ihnen behandelten Themen, die Bewegung, die Labilität, die Unendlichkeit sowie die zu ihrer Umsetzung verwendeten formalen Strategien nicht neu in Werthmanns Werk, sondern können als roter Faden seit den 60er Jahren verfolgt werden: Größte Bedeutung hat ohne Zweifel die Formulierung von Bewegung. Während sie in den 60er Jahren vorrangig als visualisierte Dynamik auftaucht (vgl. „Opus111“,1960, WVZ 36; „Interferenz“,1960, WVZ 62), verlagert sie sich nach 1975 in den Schaffensprozeß und führt dort teilweise zu Formen, die sich in spannungsvollem Gegensatz zur Gewalttätigkeit ihrer Entstehung befinden. In den zitierten Arbeiten schwingt gleichermaßen das Moment der Labilität mit: Sie fixieren beide eine ephemere und deshalb hochlabile Situation, wie sie auch bei den Parallelogrammen festgestellt wurde. Besonders anschaulich wird die Unhaltbarkeit des materialisierten Augenblickes am Beispiel der „Interferenz“: Sie beschreibt ausschnitthaft die Überschneidung zweier Kreiswellen. Hiermit direkt verknüpft ist das Thema der räumlichen und zeitlichen Unendlichkeit, häufig unterstützt durch das Bild der Parallele. Drei Arbeiten („Tubus 1-10“,1988, WVZ 582-591; „Harfe“, 1982, WVZ 502; „Zwölver“, 1989, WVZ 613), aber auch mehrere frühe Arbeiten (z. B. „Sette Sorelle“,1973, WVZ 347) basieren auf der Reihung mehrerer senkrechter Elemente, die jeweils eine kurzfristige Irritation in Form von Explosion- oder Schweissspuren zeigen, um anschließend wieder in ein paralleles Verhältnis zurückzukehren. „Anfang“ und „Ende“ der Rohre oder Stäbe sind ebensowenig markiert wie in den Parallelogrammen, wodurch sie zwar als Ende des Materials, des haptisch und optisch Erfahrbaren, nicht aber als Ende der Bewegung verstanden werden können. Die Skulptur bleibt Fragment, Ausschnitt aus einem Bewegungsverlauf von Unendlich nach Unendlich. Ausgehend von den Parallelogrammen, oder auf sie hinführend, könnte eine Werkdeutung versucht werden, in deren Zentrum eine heterogene Gruppe von Begriffen steht, die sich durch das gesamte Werk Werthmanns zieht. Die einen beschreiben konkrete formale Sachverhalte (Segment etc.), die anderen abstrakte Seinszustände (Labilität). Diese Vermischung der Ikonographie und Ikonologie rechtfertigt sich durch die bislang zu wenig berücksichtigte Mehrschichtigkeit des Impulses, der zu den Arbeiten führt: Werthmanns künstlerische Auseinandersetzung ist einerseits stark form- und materialbezogen. Die Arbeiten basieren alle auf einem Konzept (das jedoch den „Zu-Fall“ nicht vollständig ausschließt). Andererseits reflektieren die Arbeiten in hohem Maße das Selbst- und Daseinsverständnis des Künstlers, dessen Konstante und Wandlungen. Ob die Existenz einer zweiten, metaphorischen Ebene angenommen werden kann, bedürfte der ausführlicheren Analyse. Trotzdem zieht die Autorin in Erwägung, Werthmanns Parallelogramme als Ausdruck eines gesteigerten, aber ohne Unruhe empfundenen Bewußtseins für die eigene und allgemeine Vergänglichkeit zu verstehen. Aus: Friederich Werthmann, Skulpturen und Tuschen, Katalog der Ausstellung im Kunstverein Schwelm, Haus Martfeld, 24. Juni - 22. Juli 1990 Christiane Lange Parallelogrammi Filigrane di stanghe d’acciaio con ispessimenti nodosi descrivono una forma geometrica aperta. Una linea in movimento si materializza uscendo da uno spazio infinito, più volte cambia metá e dopo un momento di assenza di direzione apparentemente arbitrario trova di nuovo la sua via d’uscita. Analogamente ai singoli punti del cambiamento di direzione, anche la struttura globale attraversa questo processo di dis-orientamento e di ri-orientamento. Questa versione del parallelogramma accentua il carattere di segmento delle sculture, che si pongono come un marcante ma caduco ritaglio della linea in movimento cui precede e seguira una infinita e sconosciuta evoluzione. Si tratta della materializzazione di un momento effimero che trova la sua corrispon-denza nella labilità della costruzione: non e statica. Il minimo movimento la fa oscillare. La riduzione dell’opera, la sua quasi liquefatta materialità si trovano in apparente contraddizione con i lavori finora eseguiti da Werthmann: le vibranti, sibilanti sculture dinamiche in movimento degli anni 60, i lavori con la dinamite, pieni di forza e a volte massicci presenti dal 1975 e anche i lavori a china. In effetti i parallelogrammi si pongono come un cosciente nuovo orientamento dopo l’annosa esplicazione con la dinamite quale mezzo espressivo. Parallelamente sono però presenti, all’interno di questi temi, il movimento, la labilità, I’infinità, e per la loro trasformazione sono state utilizzate strategie formali non nuove nell’opera di Werthmann, che possono essere seguite come un filo rosso dal 1960 ad oggi.. Grande significato assume senza dubbio la formulazione del movimento, che durante gli anni 60 emerge soprattutto come visualizzazione dinamica (paragonabile a „Opus 111“ 1960; „Interferenz“, 1960), per poi protrarsi dopo il 1975 all’interno del processo creativo, portando parzialmente a forme che si trovano in intensa opposizione con la violenza della loro origine. Il momento della labilità oscilla armoniosamente con le opere citate: entrambe fissano una effimera e altamente labile situazione come già si è notato con i parallelogrammi. Soprattutto diventa chiara l’insostenibilità dell’istante materilizato, come nell’esempio dell’„lnterferenz“, in cui viene descritto una sorta di settore prodotto dell’intersezione di due onde circolari. A ciò è direttamente legato il tema dell’infinità spaziale e temporale, spesso sostenuta attraverso l’immagine, della parallela. Alcune tra le opere qui esposte, ma anche molte opere precedenti („Sette Sorelle“, 1973, illustr.), sono basate sull’allineamento di più elementi verticali e mostrano rispettivamente una immediata irritazione in forma di esplosione o tracce di saldatura, per poi ritornare in una relazione parallela. „Inizio“ e „Fine“ di tubi o bastoni sono altrettanto poco marcati che nei parallelogrammi, con i quali possono essere interpretati come fine della materia, di una tattile e ottica esperibilità, ma non come fine del movimento. La scultura rimane frammento, ritaglio di un processo di movimento da infinito a infinito. Partendo dai parallelogrammi o andando verso di essi, si potrebbe tentare un’inter-pretazione dell’opera al cui centro porre un gruppo eterogeneo di concetti rintracciabili in tutta la produzione artistica di Werthmann. Alcuni descrivono circostanze concrete e formali (segmenti), altri astratti stati d’essere (labilità). Questa mistura di iconografia e iconologia si giustifica attraverso la finora poco considerata pluristratificazione dell’impulso che conduce ai lavori e ci indica la spiegazione artistica di Werthmann, da un lato fortemente riferita alla forma e alla materia. Tutti i lavori si basano su un concetto (che però non lascia scorrere comple-tamente il caso). D’altra parte queste opere riflettono in grande misura il sè e la comprensione del qui ed ora dell’artista, nonché le sue costanti trasformazioni. Occorrerebbe una analisi esatta per sapere se l’esistenza possa essere accettata come un secondo livello metaforico. Ciononostante l’autrice prende in considerazione i parallelogrammi di Werthmann come espressione di una coscienza potenziata, ma esperita senza inquietudine per capire la propria ed altrui transitorietà. Traduzione: Sabrina Rovati |
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